Il mendicante di sogni (un assaggio)

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  1. miriam3
     
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    Posto qui di seguito un breve assaggio de
    "Il mendicante di sogni"
    Autrice: Miriam Mastrovito
    Editore: La penna blu

    booktrailer:
    www.youtube.com/watch?v=1KHlC6yBX98

    PROLOGO
    I sogni hanno ali sottili, antenne fragili e cuore di bimbo.
    I sogni sono ovunque e chissà dove. Hanno durata effimera eppure brillano per sempre.
    I sogni sono voli di farfalla.

    La sentinella chinò il capo, sottrasse gli occhi allo sguardo indagatore di Maya e allargò le braccia in segno di resa.
    « Lo strappo interdimensionale è insanabile » dichiarò in tono sommesso, « i sogni sono in caduta libera. »
    La fata dischiuse le ali, si levò in volo e tentò di approssimarsi al varco.
    « Attenta! Non avvicinarti troppo, precipiteresti anche tu. »
    La mano di Belamir le afferrò un lembo del vestito appena in tempo per trattenerla. Potentissime raffiche di vento già le sferzavano il corpo leggiadro, facendo turbinare i suoi lunghissimi capelli. Variopinti frammenti d’ali sfrecciarono attraverso un intrico di fili ramati e Maya vide tutti i sogni degli uomini, custoditi dall’alba dei tempi nel regno di Chissà Dove, confluire verso l’abisso.
    Un temporale di farfalle spopolava gradualmente quella terra privandola di suoni e colori. Lei stessa, per un attimo, si sentì attratta dal vortice che la risucchiava verso il basso per votarla alle tenebre, mentre un’inconfondibile sensazione di gelo faceva affiorare un nome sulle sue labbra: Nergal. Le membra di Maya furono scosse da un tremito.
    « Tutto bene? » La sentinella la trasse in disparte e attese che il suo respiro tornasse regolare.
    « So chi è l’artefice di tutto questo » mormorò la fata. « So che non si arresterà finché non ci avrà depredato di tutto. So che verrà a cercarmi e nulla potrà la mia magia contro i suoi occhi di ghiaccio… »

    Capitolo 1


    Joshua s’incamminò in una surreale notte d’inverno.
    Si inerpicò indolentemente per la salita e strizzò un occhio al disco pallido della luna.
    Nessuna complicità, solo un gesto compulsivo che lo perseguitava da anni.
    Da troppo tempo ormai aveva perso il controllo. Azioni e pensiero avevano organizzato una rivolta contro la sua volontà rendendolo schiavo. Schiavo dell’impulso che gli spremeva le palpebre a intervalli regolari, dello spasmo che gli fletteva il collo sull’omero sinistro con altrettanta puntualità, dei sonniferi, dei tranquillanti, dell’ossessione per le porte aperte e della sua fragilità.
    Il castello si stagliava austero in cima alla collina, perfettamente incasellato nella sua ambientazione da fiaba, affascinante e inquietante al tempo stesso.
    «Ma cosa ci vado a fare?» si chiese Joshua ancora indeciso se proseguire verso un insolito destino o ritornare alla sua quotidianità.
    Era in cammino con altri esseri. Più che vederli li sentiva ansimare e arrancare verso la meta.
    Una ventina di reietti approdati all’ultima spiaggia. Quasi poteva udire lo sferragliare di catene, lui che aveva speso la quasi totalità dei suoi trent'anni legato al ceppo di un imprecisato disturbo psichico.
    Un gruppo di persone messe insieme a casaccio, accomunate unicamente dallo spettro di una dipendenza e da un desiderio più o meno vago di libertà.
    Joshua ne avvicinò uno qualunque, la Marlboro malferma tra indice e pollice. «Mi fai accendere?»
    Il tossico lo pugnalò con un’occhiata obliqua. «Non ti hanno detto che devi arrivare pulito al castello? Ta’Ziyah raccomanda di sospendere l’uso di qualsiasi sostanza almeno un paio di giorni prima del seminario.»
    «È solo una sigaretta.»
    «Nicotina» lo corresse l’altro in tono saccente. «Crea dipendenza come qualsiasi altra droga.»
    «Quand’è così tanto meglio, se è vero che l’iboga funziona mi libererà anche da questo.»
    «Certo che ti libererà, fratello.» Questa volta il tossico sembrò meno convinto di prima.
    «Allora, hai da accendere?» l’incalzò Joshua per nulla intenzionato a desistere.
    Trascorsero pochi attimi in cui il silenzio fu interrotto solo da un lesto rimestare nelle tasche, poi una mano scheletrica dalle unghie contornate di nero gli porse un accendino.
    «Non è che ne avresti una anche per me? Dopotutto non credo che un paio di tiri possano interferire con il trattamento. Domani saremo immacolati come bambini e Ta’Ziyah non si accorgerà neanche di questa infrazione.»
    Joshua ammiccò, piegò la testa e sorrise. «Domani» ripeté quasi tra sé e accelerò lasciando indietro il compagno.
    La scarpinata sembrava senza fine. Ripetutamente Joshua esitò e imprecò contro la sua stessa ostinazione. L’iboga non poteva che essere l’ennesimo miraggio. Era sempre stato diverso e solo. Forse era nato per essere così.
    Avrebbe fatto meglio a rassegnarsi e lasciar perdere. Tornare a casa, andarsene a dormire e alzarsi cento volte nel cuore della notte per accertarsi di aver chiuso bene la porta.
    È incredibile quanto dolore possa entrare da una porta aperta…
    La minuscola brace della sigaretta che languiva tra i sassi fu l’ultima immagine a rimanere impressa con chiarezza nella sua mente vigile, poi le fauci del castello lo inghiottirono e nuove tonalità di rosso si mescolarono al grigio delle sue iridi.
    Un calore tanto intenso quanto artificiale si sostituì bruscamente al freddo. Una composta fila indiana, poi Joshua si ritrovò al cospetto di un ragazzo di colore che gli porgeva un perizoma color porpora e un paio di infradito di sughero indicandogli la porta di uno spogliatoio.
    «Va’ a cambiarti e raggiungi gli altri nel salone. Ta’Ziyah è già lì che aspetta.»
    Joshua sollevò il misero indumento pinzandolo tra pollice e indice, barattò un finto occhiolino con il sorriso preconfezionato del suo interlocutore e infine gli rivolse uno sguardo che la diceva lunga sui suoi pensieri più intimi.
    «È il costume tipicamente usato nei rituali africani» volle spiegare il ragazzo. «L’iboga è una radice sacra e l’iniziatore esige che vengano rispettati alcuni precetti.»
    «Immagino scarseggi la stoffa laggiù» replicò lui trattenendo a stento una risata.
    “Cosa cazzo sono venuto a fare?” si ripeté ancora una volta, mentre sfilava nella sua nuova mise. Così conciato si sentiva più che altro un idiota.
    Lungo l’interminabile corridoio che conduceva al salone incrociò nuovamente il tossico con cui aveva fumato.
    Ora sembrava Cristo sulla via del Calvario. La croce ancora in circolo nelle vene e i segni della flagellazione sulle braccia magre. Erano così magre da sembrare ramoscelli rinsecchiti!
    Per un attimo Joshua ebbe la tentazione di dargli una pacca amichevole sulla spalla, ma si trattenne dal farlo perché era certo che quello sarebbe venuto giù come un birillo.

    La sala era immersa nella penombra. Fievoli luci rosse si diramavano dagli angoli verso un altare centrale su cui appariva Ta’Ziyah. Un uomo piccolo, la pelle color dell’ebano e l’aspetto solido come una roccia. Indossava una tunica a fantasia, aveva il volto dipinto di bianco e attraversato da segni di guerra. Guardava fisso dinanzi a sé in silenzio, scolpito nella sua immobilità. Ai suoi fianchi due uomini in perizoma sedevano a gambe incrociate. Avevano entrambi dei tamburi africani e si accingevano a farli suonare.
    Sul pavimento erano sparsi numerosi materassi, al fianco di ciascuno una bacinella, una bottiglia d’acqua e un asciugamano.
    Un paio di assistenti in abito da cerimonia si aggiravano per la stanza impartendo istruzioni ai partecipanti.
    Ta’Ziyah tenne un discorso in una lingua incomprensibile.
    Joshua, come gli altri, non capì niente se non che quando lo stregone faceva una pausa bisognava rispondere: «Ahee!»
    Il vaniloquio pian piano cominciò a essere supportato da una musica di sottofondo. Un ritmo monotono, dapprima discreto, poi sempre più incalzante.
    Ta’Ziyah cominciò a muovere la testa, poi le gambe e le braccia fino a coinvolgere l’intero corpo in una danza frenetica.
    I ragazzi lo fissavano in una sorta di concentrazione ipnotica, inizialmente rigidi, poi sempre più duttili, come materia plasmabile da quel picchiare di tamburi. Ogni percussione l’accenno di una nuova forma.
    Al culmine della danza l’iniziatore venne avanti. Nelle mani reggeva una ciotola e un cucchiaio. Passò in rassegna tutti i presenti somministrando a ciascuno una dose di polvere bianca.
    Joshua lo vide approssimarsi come un sacerdote al momento dell’eucaristia.
    Sentì l’amaro foderargli la bocca, quella sostanza granulosa impastarsi con la lingua e la saliva procurandogli un’intensa sensazione di disgusto.
    Una formula indecifrabile gli accarezzò un orecchio modulata dal solito: Tum! Tum!
    «Ahee!» mugugnò. Fortunatamente erano solo vocali, altrimenti non sarebbe riuscito a articolarlo.
    Bevve a grandi sorsate, mentre i tamburi cominciavano a rimbombargli nella testa. Ancora qualche minuto e quella musica non sembrò più provenire dall’esterno. La sentiva nel petto, nelle vene, come fosse prodotta dal suo stesso corpo.
    Tum! Tum! Faceva il cuore e le gambe si scioglievano.
    Tum! Tum! Facevano i polmoni e le braccia rispondevano assecondando il ritmo.
    Tum! Tum! Replicò il tamburo nello stomaco e Joshua si piegò in due per vomitare.
    L’iboga purifica, elimina le tossine, il dolore e i fantasmi.
    L’iboga ti svuota di ogni male e ti restituisce lindo al giorno nuovo.
    “Ti credo!” pensò Joshua. “Se continuo così, in questa bacinella ci lascio anche l’anima!”
    Ta’Ziyah tornò con un secondo cucchiaio.
    «Lasciati andare, fratello» disse, questa volta in una lingua comprensibile. «L’iboga è la radice della verità, ascoltati.»
    «Ahee» biascicò Joshua ingoiando il suo boccone amaro, dentro sé pensò che sarebbe stato difficile ascoltare altro da quel baccano misto di musica e rigurgiti.
    Poi una mano invisibile lo schiacciò sul materasso fermandosi sugli occhi. Joshua ebbe come l’impressione di guardare attraverso un caleidoscopio.
    Solo, non erano vetri colorati quelli che si muovevano e che turbinavano vorticosamente.
    Sembravano piuttosto frammenti di ali di farfalla.




     
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    io sono un anello della catena di Anobbi, per leggerlo! ;)
     
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    Ho da qualche giorno terminato la lettura di questo romanzo...

    E' un romanzo breve, una storia più per bambini/ragazzi, scritta bene e che si legge in un soffio!

    Una storia di fate e sogni, di una nonna e di un nipotino per sognare per un paio d'ore.


    Come ho scritto anche su Anobii nella recensione, mi ha ricordato, per qualche verso, Mary Poppins quando lei, i bambini e Bert saltano all'interno del disegno fatto dallo spazzacamino e si ritrovano in un mondo di cartoni animati


    Brava Miriam!! clapping
     
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2 replies since 7/4/2011, 13:45   48 views
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