NON UN GIORNO IN PIU' di Barbara Risoli

Racconto surreale a episodi

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  1. Risoli
     
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    NON UN GIORNO IN PIU'
    di
    Barbara Risoli

    - Primo episodio -



    Buio. Disperazione. Vuoto interiore. Senso di assoluta irrimediabilità, neppure era importante il motivo che la indusse a salire in auto, accendere il motore, dare esagerato gas, sgommare e infilarsi nella notte, lungo le sue vie, sull’asfalto invisibile con i fari spenti, illuminato solo dalla luna che sembrò farsi più luminosa per tentare un improbabile salvataggio. Poi le luci dell’illuminazione pubblica, il casello dell’autostrada, il volume alto della radio, frastornante, una canzone ritmata a scandire il passare dei minuti, il battito del motore che sembrava cuore, che cantava e ululava, ululava e cantava. Poi l’autostrada, poco traffico, era notte. Curve d’entrata, stop non rispettati e infine l’accelerazione sempre più intensa, l’auto velocissima, troppo per la cilindrata, i pistoni a battere in testa, un leggero rallentamento, la musica assordante, la radio brandì note altisonanti, marce trionfali mascherate da rock e poi techno e qualcosa di romantico che fermò il cuore. Poi ancora ritmo, melodia incalzante, un’entrata nella corsia opposta, luci distanti, forse un rumore più forte, luci alte, grandi, troppo per una semplice auto. Rallentamento, il volante verso sinistra, solo un lieve testacoda e la guida contromano le fece andare il sangue alla testa. Luci distanti in avvicinamento, sorrise credendosi alla guida di un’astronave e quello era lo spazio, le stelle stavano a guardare, la luna oscurata dalle luci sempre più vicine. Un rombo che sovrastava la musica, sul più bello.
    Poi lo schianto. Accecata dai fari dell’astronave nemica neppure frenò afferrando il volante a due mani, non lo faceva mai. L’impatto fu forte, poderoso, senza pietà. Le luci erano quelle di un camion che la centrò o forse lei centrò lui. L’auto si accartocciò contro il muso ringhiante del mezzo enorme, a fisarmonica e poi sembrò esplodere, il motore schizzò verso di lei colpendola, trafiggendola, mentre ancora i pistoni battevano in testa e il suo sangue, quello del cuore, entrò mischiandosi con la benzina e continuando ad alimentare assurdamente un motore staccato dal suo posto. Il rombo cessò. Il motore si fermò dentro al petto facendone uno scempio. Il fuoco divampò per poi spegnersi senza un motivo, come per un rispetto inutile nei confronti della vittima. Lei. Il silenzio. Poi una voce, l’uomo del camion che piangeva. Poco tempo. Luci blu. Una sirena, due. Uomini in uniforme. Qualcuno osò guardare e un sospiro mozzato ruppe l’aria pesante. Il camionista continuava a piangere. Straziante. Poi smise. Gli chiesero dove fosse il guidatore del mezzo che aveva investito e per il quale lui stesso aveva chiamato i soccorsi. L’uomo indicò la macchina deformata, senza motore strappato e gettato su una donna. Gli uomini in divisa lo osservarono spento e inclinato sul sedile divelto dell’auto. Il sedile vuoto. Il camionista svenne, forse era ubriaco. Lo avrebbero verificato. Per ora si soccorre lui. Poi il silenzio.

     
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  2. La Vampira Ste
     
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    O M.A.M.M.A. che roba!!!!!!
    Sembrava di essere lì....brrrrr...mi sono venuti i brividi...
    Da mozzare il fiato!!!

     
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  3. Risoli
     
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    Iiihhh... grazie! Ma davvero fa sto effetto? ... Sono contenta, quello era l'intento!

    LA VAMPIRA STE... sai che no scritto anche un racconto sui vampiri a puntate? ... Vediamo come va questo e... basta, non dico altro! Ciao!!!!
     
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  4. La Vampira Ste
     
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    Barbara...sei una scrittrice con i contro......, complimenti davvero!!!!
     
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  5. Risoli
     
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    :onioncnsmilies06cy3.gif: A me ste cose non bisogna dirle così, senza preavviso... Grazie... me, francamente... siamo solo all'inizio. Ih!
     
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  6. La Vampira Ste
     
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    Ops....sei un portento.....ihihih
     
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  7. Risoli
     
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    Sono un pelo timida adesso, son novellina... ma aspetta che ci prendo gusto... ahi!
     
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  8. La Vampira Ste
     
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    Vai e "spacca"!!!!
     
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  9. Risoli
     
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    NON UN GIORNO IN PIU'
    di
    Barbara Risoli

    - Secondo episodio -



    Non amava guardarsi allo specchio. Aveva perduto quell’abitudine, eppure una volta la propria immagine era stata qualcosa che aveva saputo emozionare. Di lui si era sempre detto che la perfezione lo aveva sfiorato, la gloria ammantato, il supremo graziato. Poi il tempo aveva deciso di rovinare ogni cosa, prima tra tutte lui e lo aveva graffiato, sformato, reso semplicemente vecchio, ma di una vecchiaia segnata dagli eccessi cui non aveva rinunciato, a tavola e davanti al bancone di un bar e poi da solo sulla riva del fiume freddo ove era nato. Era disceso in un inferno fatto di solitudine senza riuscire a comprendere il mutare degli eventi, delle situazioni. Aveva sempre avuto un aspetto fiero, simile a un guerriero, un’ironia sottile capace di abbacinare, una specie di magico tocco che incantava. Ma non aveva retto il cambiamento del mondo, del suo mondo, e aveva cercato riparo nell’acqua avvelenata di una bottiglia. All’inizio era stata roba buona, poi qualsiasi intruglio che gli desse forza era andato bene. Ogni eccesso ora lo segnava. Non si guardò allo specchio neppure quel giorno freddissimo di dicembre, nevoso all’inverosimile, ghiacciato come il fiume che volle andare a guardare. Non era un alcolista, semplicemente era solo e sconsolato, consapevole di avere gettato la vita attendendo di capire senza mai aver capito nulla. Forse superbo o forse fragile, aveva lasciato che ogni cosa scorresse e con essa il suo sangue adesso rallentato, provato da un cuore che funzionava male, glielo diceva sempre il dottore, quello che lui non era solito ascoltare. Voleva il suo grande fiume, bellissimo, impetuoso, a volte blu come il cielo oppure cupo come i suoi occhi che avevano mantenuto gelosamente il loro nero abissale e unico. Inesistente qualcosa di più scuro, di più bello, leggermente strabico, anche quel difetto lo rendeva eccezionale regalandogli un fascino che non era possibile contrastare con la ragione. Quel giorno voleva il suo fiume, e lo trovò semi-ghiacciato, l’inverno da quelle parti era morte bianca, temperatura folle, ma lui si sedette su una delle tante pietre che costeggiavano un tratto sconosciuto del suo fiume, accanto a un prato che il cemento non aveva violentato. Ricordò. I ricordi erano spade nel cuore, capaci di mozzare il fiato un po’ rantolante per le sigarette. Fumò e tossì. Guardò il fiume e poi il porto distante e rise di se stesso. Si rivide altissimo, come la sua strana razza imponeva, affaticato, ma certo di vincere sempre, ovunque, contro chiunque. Giocava nel ricordo, con amici della sua età, ragazzini. Il pallone s’incastrava nella neve e la gara era di riuscire a calciarlo egualmente. Lui vinceva, lui vinceva sempre. Poi cadeva con la faccina pallida nella neve fredda e rideva, insensibile al gelo, simile a una tigre di quelle che vivevano oltre il fiume, dove non era mai stato. Aveva attraversato il mondo, aveva visitato Paesi distanti, ma oltre il fiume non ci era mai andato, aveva sempre rimandato quel viaggio esplorativo come se il timore d’esser deluso lo avesse portato sempre altrove. Cancellò le immagini del passato, dolorose e nostalgiche, strinse lo sguardo tagliente oltre il fiume grande, enorme, feroce con i suoi vortici ingannevoli. Immaginò distese immense, alte montagne e vide le tigri bianche, le loro zanne, un mondo diverso, distante, fantastico. Gettò la sigaretta. Guardò l’acqua quasi ghiacciata, osservò il pendio che vi si immergeva: un bellissimo fiume, lungo e maestoso, navigabile, ricco, il più bello del mondo, il suo fiume. Mosse i piedi: uno scricchiolio che conosceva bene, chi viveva in quel lembo di terra sapeva riconoscere il ghiaccio minaccioso e sapeva spostarsi per tempo. Lo sapeva anche lui cosa significava quello scricchiolio, ma non si mosse più e ancora lo ascoltò, ripetitivo, veloce, secco, freddo. Il suo fiume lo reclamava e non ebbe paura. Era tutto molto strano, amava la vita che tutto gli aveva tolto, che lo aveva tradito. Istintivamente, ultimo spasimo di difesa, appoggiò una mano sul ghiaccio affilato e si ferì. Un rivolo di sangue macchiò quel ghiaccio e cadde nell’acqua arrossandola.
     
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8 replies since 27/1/2011, 12:09   70 views
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